La Corte di Cassazione penale, Sez.3, con sentenza 29 marzo 2022, n.11316 ha stabilito che al giudice penale è preclusa ogni valutazione sulla legittimità o meno del provvedimento amministrativo presupposto di un illecito penale, laddove la questione sia stata rimessa e decisa con sentenza irrevocabile dal Giudice Amministrativo. Tale preclusione, però, non si estende anche ai profili di illegittimità fatti valere per la prima volta in sede penale, qualora gli stessi non siano stato oggetto di valutazione e di conseguente decisione da parte del giudice amministrativo, in quanto non dedotti nel ricorso.
Il ragionamento seguito dalla Suprema Corte è il seguente: il carattere autonomo della giurisdizione penale rispetto a quella amministrativa e l’assoluta rilevanza ed inderogabilità del potere del giudice ordinario di “disapplicazione” dell’atto amministrativo illegittimo o di verificare l’integrazione di elementi normativi della fattispecie, radicano l’effetto preclusivo esclusivamente con riferimento ad un provvedimento giurisdizionale del giudice amministrativo passato in giudicato, nella misura in cui detto provvedimento abbia espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell’atto fatto valere, incidentalmente, in sede penale. In altre parole, deve ritenersi che la preclusione del cosiddetto giudicato amministrativo si estende esclusivamente alle questioni che siano state dedotte ed effettivamente decise e non anche a quelle deducibili e non esaminate.
Di seguito la sentenza per esteso:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
omissis
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della repubblica presso il tribunale di Brindisi nei confronti di:
Giurgola Giuseppe, nato a Lecce;
Fischetto Pasquale, nato a Fasano (BR);
Ricchiuto Tommaso, nato a Tiggiano (LE);
Colabufo Tommaso, nato a Palo del Colle (BA);
avverso l’ordinanza del 30/03/2021 del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Brindisi;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione del Consigliere Vito Di Nicola;
Letta la requisitoria del Procuratore Generale che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Brindisi ricorre per la cassazione dell’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale della stessa città ha dichiarato inammissibile la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere emessa in data 23 febbraio 2016 dal giudice dell’udienza preliminare presso il medesimo Tribunale, il quale aveva ritenuto l’insussistenza dei fatti addebitati agli imputati.
L’azione penale era stata esercitata con riferimento a complesse imputazioni, che sono state così riassunte nell’ordinanza impugnata: capo a) articoli 81, 110, 40 cpv. cod. pen., 44, comma 1, lettere b) e c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, 181, comma 1, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 perché nelle rispettive qualità di presidente (Giurgola) pro-tempore dell’Autorità Portuale, dirigente dell’autorità tecnica portuale e successivamente R.U.P. dell’opera (Fischetto), amministratore di fatto della IGECO costruzioni s.p.a. aggiudicataria dell’appalto (Ricchiuti), Provveditore alle 00.PP. di Bari (Musei), presidente della conferenza di servizi (Colabufo), realizzavano una lottizzazione abusiva nonché opere in assenza dei prescritti titoli abilitativi dal punto di vista urbanistico ed ambientale.
Tanto sul rilievo che:
1) la contrarietà agli strumenti urbanistici consisteva in un progetto di “riqualificazione delle strutture Costa Morena – ristrutturazione e ampliamento” che imprimeva una diversa destinazione urbanistica all’area in quanto si prevedevano opere per il traffico passeggeri mentre gli strumenti urbanistici prescrivevano una destinazione commerciale/industriale limitata al solo traffico delle merci;
2) le condotte di lottizzazione consistevano in provvedimenti finalizzati alla programmazione e realizzazione dell’opera (Autorità portuale), progettazione, opere di cantierizzazione, omessa rilevazione del contrasto con gli strumenti urbanistici (dirigente ufficio urbanistico), atti amministrativi diretti alla conclusione dell’iter necessario senza variante urbanistica, esecuzione materiale delle opere (appaltatore), indizione della conferenza di servizi (Provveditore alle 00.PP.), presidente della relativa conferenza dei servizi;
3) le condotte di esecuzione di opere in assenza di titoli consistevano nella mancanza del parere del vincolo aeronautico – militare.
Fatti commessi in Brindisi sino al 30 giugno 2014
Capo b) reato di cui all’art. 479 cod. pen. per la falsa attestazione da parte del Presidente dell’Autorità Portuale nella richiesta di autorizzazione paesaggistica che la destinazione dell’area era “ricettivo/turistica”, in luogo di quella
industriale/commerciale (destinata cioè ad accogliere solo il traffico merci) prevista dal Piano Regolatore Portuale.
Fatto commesso in Brindisi il 31 agosto 2010.
2. Il ricorso è affidato a tre complessi motivi, che possono essere riassunti secondo l’epigrafe rassegnata dallo stesso ricorrente.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia mancanza della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.) con riguardo alla valutazione delle nuovi fonti di prova, e, in particolare, (a) degli allegati al verbale di assunzione di informazioni rese da Roberto Serafino in data 27 maggio 2020 (con specifico riferimento all’allegato 1, che, consistendo in uno scritto pubblicato dal dichiarante in data 20 febbraio 2019, rappresenterebbe fonte documentale nuova, del tutto estranea, nel momento della sua formazione, a qualunque procedimento penale; e (b) degli allegati al verbale di assunzione delle informazioni rese da Giuseppe D’Addato in data 27 maggio 2020 con specifico riferimento all’allegato 2, consistente in missive sottoscritte dal Provveditore Interregionale per le Opere Pubbliche Campania Molise Puglia e Basilicata nel corso dell’anno 2020 con riguardo ai “progetti in corso d’attuazione e proposti dall’Autorità di Sistema Portuale”, fra i quali quello inerente alle opere, in corso d’esecuzione abusiva nell’anno 2020, oggetto del procedimento penale n. 1786/2020, missive che pure rappresenterebbero fonti documentali nuove, nel momento della loro formazione, riferite ad opere sulle quali s’era appuntata l’attenzione del pubblico ministero in Brindisi a decorrere dall’anno 2017: punti 2.3.7 e 6.3 dell’ordinanza impugnata.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce manifesta illogicità della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato, sul rilievo che l’ordinanza gravata, per un verso, attribuirebbe al pubblico ministero il desiderio di rimettere in discussione il contenuto della sentenza di non luogo a procedere senza addurre prove nuove (capo 4 e punti 6.1 e 6.2 dell’ordinanza impugnata), e, per altro, sconfesserebbe il contenuto di quella stessa sentenza – nella parte in cui affermava senza perplessità alcuna che il piano regolatore portuale di Brindisi approvato nel 1975 in virtù dell’art. 27, comma 3, d.lgs. n. 84 del 1994 aveva assunto una valenza anche di pianificazione urbanistica, utilizzando argomenti nuovi per confutare il contenuto delle prove nuove addotte dal pubblico ministero, dal giudice di prime cure ritenute non nuove (punto 6.5 dell’ordinanza impugnata).
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta contraddittorietà della motivazione (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.), sul rilievo che l’ordinanza impugnata avrebbe correttamente richiamato un principio di diritto dettato dalla giurisprudenza di legittimità, facendone però derivare una conclusione esattamente opposta a quel principio (punto 6.5.4 dell’ordinanza impugnata), contraddittorietà della motivazione evincibile dall’aver il provvedimento impugnato affermato che le dichiarazioni della dott.ssa Carrozzo, dirigente del settore urbanistica del Comune di Brindisi, riguardavano “la ripresa dei lavori nel 2017”, aggiungendo che l’esecuzione di detti lavori sarebbe fuori dal capo di imputazione (oggetto della sentenza di non luogo a procedere), dopo avere asserito che “gli elementi forniti avvalorano l’ipotesi che non si tratta di nuovi atti, acquisiti casualmente ma della prosecuzione – non consentita – di indagini anche sul fatto già giudicato” (punti 7.2.2 e 7.2.1 dell’ordinanza impugnata).
3. Giuseppe Giurgola ha presentato, tramite i suoi difensori, memoria con la quale ha replicato su tutti i motivi di ricorso, chiedendone l’inammissibilità.
4. Analoghe conclusioni sono state rassegnate dal Procuratore generale che, nella sua requisitoria scritta, ha sostenuto come il ricorso del Procuratore della Repubblica mirasse a sollecitare una rivalutazione del compendio prospettato dal giudice di prime cure per pervenire ad una diversa conclusione, senza tuttavia confrontarsi con le motivazioni rese dal GIP, il quale, con congrue e logiche osservazioni, aveva, da un lato, escluso la novità delle fonti di prova offerte e, dall’altro, aveva rimarcato come la sentenza del TAR, indicata dall’ufficio di Procura e su cui si fondava la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere, fosse stata riformata dal Consiglio di Stato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
2. I motivi di gravame, essendo tra loro strettamente collegati perché denunciano esclusivamente vizi della motivazione, possono essere congiuntamente esaminati.
Due sono i requisiti essenziali che, tra gli altri, consentono la revoca della sentenza di non luogo a procedere, qualora il pubblico ministero intenda chiedere, come accaduto nel caso in esame, il rinvio a giudizio. E’ cioè necessario che le nuove fonti di prova – le quali, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare il rinvio a giudizio – debbano essere dotate di un valore persuasivo diverso, anche sotto il profilo della completezza, rispetto a quelle già acquisite.
Inoltre, è necessario che la prova non debba essere stata valutata dal giudice che ha emesso la sentenza di non luogo a procedere, altrimenti sorgendo in capo al pubblico ministero l’onere di impugnare la sentenza di proscioglimento resa ai sensi dell’articolo 425 del codice di procedura penale.
2.1. Quanto al primo requisito, ossia che le nuove prove debbano essere dotate di un valore persuasivo diverso, anche sotto il profilo della completezza, rispetto a quelle già acquisite, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere, le nuove prove poste a sostegno della richiesta devono essere oggetto, nel merito, d’una valutazione di idoneità, la quale può concludersi positivamente quando il giudice ritenga che, se fossero state conosciute nel momento conclusivo della udienza preliminare, in luogo della sentenza sarebbe stato deliberato il rinvio a giudizio dell’imputato (Sez. 5, n. 30869 del 11/04/2003, Cavallo, Rv. 228324 – 01).
Da ciò si ricava l’argomento in forza del quale i nuovi elementi di prova devono assumere un carattere di decisività e, per questa ragione, richiedono che il giudice per le indagini preliminari compia un esame nel merito quanto all’attitudine di detti elementi a determinare nel caso concreto il rinvio a giudizio, senza che, tuttavia, gli sia consentito sconfinare da una mera valutazione prognostica fino a fondare un giudizio di probabile colpevolezza.
Logico corollario di tale impostazione è però che la novità delle fonti di prova non deve essere apprezzata sulla base di un requisito di tipo “formale” o cronologico, valorizzando cioè il solo fatto che le stesse siano state acquisite successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, ma devono necessariamente rispettare un requisito di tipo “sostanziale”, nel senso cioè che il quid novi deve essere concretamente capace di modificare il precedente convincimento del giudice, senza assumere conformazioni equivalenti agli elementi già valutati, essendo questa, e non altra, la regola di giudizio che informa i criteri che disciplinano la revoca della sentenza di non luogo a procedere e che può ritenersi in linea con i principi fissati nella direttiva n. 56 della legge delega per l’emanazione del codice di procedura penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81) diretta a limitare, al fine di assicurare “idonee garanzie per l’imputato”, le possibilità di un nuovo esercizio dell’azione penale dopo la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere.
A questo proposito, ossia quanto al carattere di autentica novità che la fonte di prova deve possedere, la più avvertita dottrina e la stessa giurisprudenza di legittimità hanno posto bene in evidenza come l’art. 434 cod. proc. pen., abbia ripreso la classificazione – già presente nella procedura abrogata in merito alla riapertura dell’istruzione formale – tra fonti di prova noviter repertae e noviter productae, attribuendo carattere di novità sia alle prime, ossia a quelle la cui disponibilità sia sopravvenuta solo dopo la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, perché prima non esistenti, che alle seconde, ossia a quelle preesistenti ma non acquisite agli atti nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare e dunque mai portate a conoscenza del giudice (Sez. 3, n. 3734 del 06/11/1996, Spaccasassi, Rv. 206815 – 01).
Tant’è che, argomentando in “controluce” rispetto al precedente approdo, è stato affermato come non possa considerarsi nuova fonte di prova, ai fini della revoca della sentenza di non luogo a procedere, quella della cui esistenza, pur mancando gli atti relativi nel fascicolo del procedimento definito con la sentenza, il giudice risulti essere stato informato al momento della decisione (Sez. 5, n. 30869 del 11/04/2003, cit., Rv. 228323 – 01).
2.2. Il secondo requisito, ossia che la prova, in quanto sostanzialmente nuova, non debba essere stata valutata dal giudice che ha emesso la sentenza di non luogo a procedere, altrimenti sorgendo in capo al pubblico ministero l’onere di impugnare la sentenza di proscioglimento resa ai sensi dell’articolo 425 del codice di procedura penale, costituisce il riflesso dell’effetto limitatamente preclusivo della sentenza di non luogo a procedere e la sua portata si riverbera, essendo il principio preclusivo in sé ovvio, sull’attività che il pubblico ministero può compiere per il reperimento delle nuove fonti di prova.
La questione è stata risolta da un arresto delle Sezioni Unite che, nella sentenza Romeo, della quale ha dato atto l’ordinanza impugnata, hanno affermato, nell’ottica della prospettiva garantistica privilegiata dal legislatore e rafforzata dai principi affermati nella sentenza n. 27 del 1995 della Corte costituzionale, che le “nuove fonti di prova”, idonee sotto il profilo teleologico anche per capacità dimostrativa propria a determinare, con la revoca del non luogo a procedere, l’immediato rinvio a giudizio dell’imputato prosciolto, di qualsiasi natura e tipologia esse siano (preesistenti o sopravvenute – noviter repertae o noviter productae, purché non acquisite agli atti e già sottoposte alla valutazione del giudice) debbono provenire da un’attività estranea ad ogni iniziativa investigativa nell’ambito del procedimento chiuso con la sentenza di non luogo a procedere, con la conseguenza che possono essere utilizzabili soltanto quegli elementi di prova provenienti da altri procedimenti o raccolti incidentalmente nel corso di indagini diverse, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, che non siano frutto di un’attività investigativa proseguita “ad hoc” dall’organo dell’accusa – fuori altresì dal quadro processuale di riferimento ormai chiuso con il non luogo a procedere – allo specifico scopo di predisporre il rinvio a giudizio del prosciolto, né siano il risultato di indagini, pure asseritamente indifferibili o urgenti, finalizzate alla verifica e all’approfondimento degli elementi emersi, soccorrendo in tal caso l’opzione alternativa della riapertura delle indagini (Sez. U, n. 8 del 23/02/2000, Romeo, Rv. 215412 – 01, anche in motiv.).
La soluzione ermeneutica proposta dalle Sezioni Unite esclude, quindi, che la revoca, finalizzata ad ottenere immediatamente la vocatio in ius dell’imputato, possa essere intesa come un éscamotage per riassestare indagini preliminari incomplete, che consentirebbero all’inquirente un aggiramento dei termini prescritti per l’espletamento delle indagini preliminari, in violazione dei principi garantistici commessi al legislatore delegato dalla surrichiamata direttiva n. 56 della legge delega, e così travalicando i limiti, previsti in via tassativa dall’art. 434 cod. proc. pen., entro i quali è possibile rimuovere l’effetto preclusivo connesso alla pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere.
La conseguenza è che, qualora gli eventuali atti d’indagine del pubblico ministero debordino dai principi in precedenza espressi, la mancanza di un’espressa autorizzazione del giudice al loro espletamento comporta che essi siano compiuti in violazione di un divieto, per quanto implicito, previsto dalla legge e debbano perciò ritenersi inutilizzabili ex art. 191 cod. proc. pen. Ne deriva che, nella prospettiva della revoca, il pubblico ministero si può servire di nuovi elementi di prova a condizione che essi siano stati acquisiti “aliunde” nel corso di indagini estranee al procedimento già definito o siano provenienti da altri procedimenti, ovvero reperiti in modo casuale o spontaneamente offerti, e comunque non siano il risultato di indagini finalizzate alla verifica ed all’approfondimento degli elementi emersi (Sez. U, n. 8 del 23/02/2000, cit., Rv. 215412 – 01).
La valutazione circa la natura delle nuove fonti di prova acquisite dal pubblico ministero successivamente alla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, che possono essere o meno utilizzati ai fini della revoca della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. nei confronti dell’imputato prosciolto, si risolve, di regola, in un accertamento di fatto che, qualora il giudice di merito compia attraverso una motivazione adeguata e priva di vizi di manifesta illogicità, è insuscettibile di essere sindacata in sede di giudizio di legittimità.
3. Passando ora all’esame delle doglianze con le quali il ricorrente denuncia i vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata, osserva il Collegio come, a prescindere dalla questione della novità o meno delle nuove fonti di prova, il giudice per le indagini preliminari abbia ampiamente giustificato il proprio convincimento, sul rilievo che l’istanza di revoca mirasse a richiedere una rivalutazione delle rationes decidendi del giudice della sentenza di non luogo a procedere, senza che, per altro, i nuovi elementi fossero muniti dei presupposti per disporre il rinvio a giudizio, essendo perciò privi, a tal fine, del requisito della decisività.
3.1. Ciò posto, sulla questione circa la configurabilità del reato di lottizzazione che, secondo quanto affermato nell’ordinanza impugnata, è stato escluso dalla sentenza di non luogo a procedere sul presupposto che il piano regolatore portuale di Brindisi, approvato con il D.M. nr. 375 del 21/10/1975, non prevedeva alcuna destinazione d’uso, giacché era stato approvato in virtù della legge 20 agosto 1921 nr. 1177, la quale non attribuiva a tale piano una vocazione di pianificazione territoriale, ma solo di strumento di programmazione di opere nonché sul presupposto che non era prevista alcuna destinazione d’uso non solo dal piano regolatore portuale, ma neanche nel piano regolatore generale, che individuava l’area in questione come zona D3 nella quale erano ammessi anche insediamenti per attività ausiliare a servizio dei mezzi di trasporto, come gli interventi in esame, e con il piano consortile ASI, in cui era indicata la zona solo come “portuale”, il pubblico ministero obietta che, invece, il giudice della sentenza di non luogo a procedere aveva affermato che <<il piano regolatore portuale di Brindisi approvato nel 1975 è ancora vigente e in virtù di tale norma (art. 27, comma 3, d.lgs. n. 84 del 1994, n.d.r.) ha assunto una valenza anche di pianificazione urbanistica>> (pag. 27 sentenza di non luogo a procedere).
Con ciò il ricorrente sostiene di non aver affatto inteso rivalutare la sentenza, con la quale in parte qua, invece, ha sostenuto di concordare.
Sennonché, come si ricava dal testo dell’ordinanza impugnata, il giudice dell’udienza preliminare aveva precisato che, nel caso in esame, il reato di lottizzazione abusiva era stato contestato agli imputati sul rilievo che il progetto di riqualificazione “Costa Morena” avrebbe comportato una modifica di destinazione d’uso dell’area da commerciale/industriale a traffico passeggeri e, quindi, aveva ricordato che il piano regolatore portuale di Brindisi non prevedeva alcuna destinazione d’uso, giacché, approvato in virtù della legge 20 agosto 1921 n. 1177, non era stata attribuita a tale piano alcuna vocazione di pianificazione territoriale, ma solo di strumento di programmazione di opere.
Né il piano consortile ASI dettava prescrizioni per l’area in questione, rientrante genericamente nella zona “portuale”, e neppure era mai stata effettuata una specifica delimitazione delle aree all’interno del porto, con una precisa indicazione delle destinazioni d’uso di ciascuna di esse, e tantomeno indicazioni del genere erano contenute nel vigente piano regolatore portuale approvato in un’epoca in cui lo stesso non aveva una vocazione urbanistica.
Lo stesso ing. Roberto Serafino, nella sua qualità di componente della II Sezione del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici dal mese di settembre 2009, sentito dai militari della Guardia di Finanza di Brindisi, in data 31 dicembre 2012 aveva sostenuto che, a suo giudizio, era necessario per realizzare le opere in questione una variante del piano regolatore portuale, non perché in contrasto con la destinazione d’uso vigente sull’area in questione, ma perché era necessario prevedere una destinazione d’uso.
Non essendo, pertanto, il progetto di riqualificazione delle strutture “Costa Morena” in contrasto con la destinazione d’uso dell’area in questione, il giudice della sentenza di non luogo a procedere concludeva, come in precedenza ricordato, che non poteva ritenersi integrato il reato di lottizzazione abusiva, aggiungendo che non era prevista alcuna destinazione d’uso non solo nel piano regolatore portuale, ma neanche nel piano regolatore generale, che individuava l’area in questione come zona D3 in cui erano ammessi anche insediamenti per attività ausiliare a servizio dei mezzi di trasporto, posto che, come detto, anche nel piano consortile ASI la zona era indicata solo come “portuale” (pag. 26, 27 e 28 sentenza di non luogo a procedere).
Ciò posto, qualora l’affermazione del giudice della sentenza di non luogo a procedere – alla luce della quale il reato di lottizzazione abusiva non poteva ritenersi integrato perché il piano regolatore portuale di Brindisi non prevedeva alcuna destinazione d’uso, al pari del piano regolatore generale, che individuava l’area in questione come zona D3, e del piano consortile ASI in cui era indicata la zona solo come “portuale” – fosse risultata in contrasto con l’analoga affermazione contenuta in sentenza, secondo cui il piano regolatore portuale di Brindisi aveva assunto una valenza anche di pianificazione urbanistica, il pubblico ministero avrebbe dovuto impugnare, per vizio di contraddittorietà intrinseca, la sentenza di non luogo a procedere, non consentendo al provvedimento di conseguire una stabilità, quantunque relativa, tale da radicare comunque una preclusione processuale non rimuovibile, per mancanza del requisito della casualità della nuova fonte di prova, sulla base delle dichiarazioni Serafino e dei documenti allegati all’audizione, la cui decisività, ai fini del rinvio a giudizio, non è stata peraltro in alcun modo specificamente dedotta con l’atto di gravame.
E’ solo il caso poi di chiarire che il requisito della casualità dell’acquisizione della nuova fonte di prova, al fine di reclamare la revoca di una sentenza di non luogo a procedere, va parametrato non tanto e non solo al tipo di procedimento nel quale la fonte di prova è assunta ma soprattutto al tasso di prevedibilità che, a seguito dell’espletamento di uno specifico atto di indagine, deriva dall’assunzione di essa, soprattutto quando il suo contenuto – in assenza dell’autorizzazione a una riapertura delle investigazioni o in mancanza di autonome determinazioni della fonte o per situazioni del tutto imponderabili (a titolo esemplificativo, trasmissione per posta di documenti o dichiarazioni; presentazione spontanea seguita da spontanea dichiarazione e presentazione di documenti; acquisizione di conversazioni e di immagini a seguito di regolari captazioni consentite per altri fatti) – è in grado, sulla base dell’id quod plerumque accidit, di sovrapporsi alle risultanze contenute in una sentenza di non luogo a procedere.
Nel caso in esame, se è vero che le indagini riguardavano fatti diversi e le acquisizioni erano cronologicamente successive alla sentenza di non luogo a procedere, si trattava comunque di investigazioni in ordine a reati omologhi o, comunque, della stessa indole, aventi ad oggetto lo stesso contesto locale (il porto di Brindisi), in relazione alla verifica di legittimità urbanistica e edilizia di opere, con riferimento a temi per i quali vi era coincidenza, sebbene parziale, delle fonti di prova comuni alla vecchia e alla nuova indagine, la cui assunzione non era stata spontanea ma provocata.
Sulla base di ciò, non è allora manifestamente illogica la motivazione del giudice del provvedimento impugnato quando ha affermato che l’aver «richiamato l’ingegnere Serafino per fargli correggere alcune dichiarazioni fatte in occasione delle indagini preliminari non solo non costituisce acquisizione connotata dal carattere della casualità – perché dal verbale appare evidente che era quello l’obiettivo – ma consiste in una opinione che il teste qualificato espone sulla natura dello strumento urbanistico anzi del piano regolatore portuale.
Al tempo stesso il provveditore alle opere pubbliche Dottor D’Addato dopo aver premesso “… Non conosco nei dettagli il Piano Regolatore Portuale di Brindisi” si limita ad affermare, sollecitato dal p.m., che la tesi giusta è quella sostenuta dall’accusa e in tal senso ha adottato provvedimenti».
3.2. Va anche detto che lo scrutinio dei motivi di ricorso deve essere poi compiuto considerando che una delle questioni controverse attiene proprio alla qualificazione giuridica del piano regolatore portuale di Brindisi.
Sulla questione, come si evince dai motivi di ricorso e dal testo dell’ordinanza impugnata, era intervenuto, dopo l’emanazione della sentenza di non luogo a procedere, il TAR Puglia che aveva affermato il principio secondo il quale il piano regolatore portuale avrebbe rappresentato a tutti gli effetti uno strumento di pianificazione urbanistica alla cui stregua andava dunque valutata la conformità di ogni singolo intervento edilizio.
Anche alla luce di questa affermazione, il pubblico ministero aveva fondato la richiesta di revoca della sentenza di non luogo a procedere.
Tuttavia, il Consiglio di Stato, Sesta sezione, con la sentenza n. 8356 del 28 dicembre 2020, all’esito della ricostruzione storico-normativa della relazione giuridica esistente tra la pianificazione urbanistica e il piano regolatore portuale, ha affermato, ribaltando la precedente pronuncia del TAR, che “i Piani Regolatori Portuali approvati antecedentemente alla legge n. 84 del 1994, non hanno effetti di conformazione del territorio”; con la conseguenza che “il Piano regolatore portuale di Brindisi, risalente al 1975, non poteva essere considerato come parametro giuridico ai fini della valutazione di conformità urbanistica degli interventi in contestazione”; non risultando peraltro “che le prescrizioni dello stesso, siano state in qualche modo recepite nelle previsioni del piano regolatore”.
In conseguenza di tale arresto, ai fini della valutazione di conformità urbanistica degli interventi, la sentenza di non luogo a procedere mantiene, per tutti i reati all’epoca contestati, ferme le relative statuizioni (per il reato paesaggistico, per altro, esisteva la prescritta autorizzazione).
Deve essere solo chiarito il rapporto che intercorre tra il giudicato amministrativo e i poteri del giudice penale in ordine alla valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto di un illecito penale.
La Corte, a questo proposito, ha affermato che al giudice penale è preclusa la valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi che costituiscono il presupposto dell’illecito penale qualora sul tema sia intervenuta una sentenza irrevocabile del giudice amministrativo, ma tale preclusione non si estende ai profili di illegittimità, fatti valere in sede penale, che non siano stati dedotti ed effettivamente decisi in quella amministrativa (Sez. 6, n. 17991 del 20/03/2018, Cusani, Rv. 272890 – 01; Sez. 3, n. 3538 del 18/11/2015, dep. 2016, Morra, Rv. 266083 – 01; Sez. 3, n. 44077 del 18/07/2014, Scotto Di Clemente, Rv. 260612 01)
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte ha osservato che il carattere autonomo della giurisdizione penale rispetto a quella amministrativa e l’assoluta rilevanza ed inderogabilità del potere del giudice ordinario di “disapplicazione” dell’atto amministrativo illegittimo o di verificare l’integrazione di elementi normativi della fattispecie, radicano l’effetto preclusivo esclusivamente con riferimento ad un provvedimento giurisdizionale del giudice amministrativo passato in giudicato, nella misura in cui detto provvedimento abbia espressamente esaminato lo specifico profilo di illegittimità dell’atto fatto valere, incidentalmente, in sede penale, dovendo altrimenti ritenersi che la preclusione del cosiddetto giudicato amministrativo si estende esclusivamente alle questioni che siano state dedotte ed effettivamente decise e non anche a quelle deducibili e non esaminate.
Nel caso di specie, risulta che l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale ha promosso il giudizio di ottemperanza (cfr. sentenza n. 5598 del 28 luglio 2021 della Sesta sezione del Consiglio di Stato), lamentando che non sarebbe stata data corretta esecuzione al giudicato di cui alla sentenza n. 8356 del 28 dicembre 2020 del Consiglio di Stato, per cui la quaestio iuris circa la relazione giuridica esistente tra pianificazione urbanistica e piano regolatore portuale di Brindisi è stata risolta nel senso che i Piani Regolatori Portuali, come quello del porto di Brindisi, approvati antecedentemente alla legge n. 84 del 1994, non hanno effetti di conformazione del territorio, sicché il Piano regolatore portuale di Brindisi non poteva essere considerato come parametro giuridico ai fini della valutazione di conformità urbanistica degli interventi in contestazione.
Né risulta che il giudice amministrativo, nel pervenire a tale conclusione, abbia pretermesso di considerare aspetti decisivi quanto all’eventuale illegittimità di provvedimenti amministrativi che costituiscano presupposti o elementi normativi di fattispecie penalmente rilevanti.
4. Orbene, per quanto qui interessa, l’ordinanza impugnata si è fatta carico del rilievo difensivo alla luce del quale, siccome i fatti contestati risultano commessi fino al giugno 2014, sarebbe abbondantemente maturato il termine di prescrizione dei reati, per i quali era stata richiesta la revoca della sentenza di non luogo a procedere, ed ha sottolineato come i fatti successivi, che sarebbero proseguiti a partire dal 2017, non possano far parte del processo conclusosi con la sentenza di non luogo a procedere, processo che, in conseguenza della richiesta revoca, il pubblico ministero chiedeva di riaprire, pure in presenza di un giudicato di assoluzione a seguito di giudizio abbreviato richiesto dai coimputati.
Il ricorrente ha preso posizione sul punto, affermando che la maturazione del termine di prescrizione dei reati, quando si sia verificata ed abbia perciò determinato l’estinzione dei medesimi, impone tale dichiarazione con sentenza, cosicché l’eventuale inesistenza delle condizioni per il rinvio a giudizio deve essere vagliata nel momento della valutazione del merito dell’imputazione. Nel caso in esame, ad avviso del ricorrente, non soltanto l’epoca di contestazione degli abusi edilizi potrebbe, proprio in conseguenza delle prove nuove acquisite, essere sensibilmente spostata in avanti rispetto a quella indicata nella sentenza, con conseguente modificazione dell’imputazione (come consentito dall’art. 423 cod. proc. pen.), ma il reato di lottizzazione abusiva, per la sua riconosciuta natura di reato progressivo nell’evento, meriterebbe, a tal fine, ancora più attenta considerazione con riguardo al tempo della sua estinzione, inevitabilmente rimessa al momento della valutazione del merito dell’imputazione; non a quello della delibazione concernente l’ammissibilità o meno della richiesta di revoca formulata ai sensi dell’art. 434 cod. proc. pen..
I rilievi svolti dal ricorrente sono, in parte, giuridicamente corretti e puntuali ma omettono di considerare: 1) che tutti i reati per i quali è stata richiesta la revoca della sentenza di non luogo a procedere sono reati di durata (sono reati permanenti quello paesaggistico – ambientale e quello urbanistico; è reato progressivo nell’evento il reato di lottizzazione) e 2) che tutti i predetti reati sono addebitati mediante imputazione a “contestazione chiusa”, essendo stato indicato, per tutti, la data finale di esaurimento della condotta, in Brindisi sino al giugno 2014.
E’ vero che, nei reati di durata, il tempo del reato può subire spostamenti in avanti ma a condizione che il reato non si consideri, a tutti gli effetti, già “consumato” e perciò una tale evenienza (ossia lo spostamento in avanti del momento consumativo) non è predicabile nei reati a contestazione chiusa sicché, allo stesso modo, la facoltà da parte del pubblico ministero di modificare l’imputazione non può essere spesa con riferimento ai reati di durata (“a contestazione chiusa”), per i quali la condotta sia del tutto esaurita e per i quali per i quali sia intervenuta una sentenza di non luogo a procedere che, come si è precisato, determina effetti, sia pur limitatamente, preclusivi rispetto al nuovo esercizio dell’azione penale.
Infatti, tale effetto preclusivo si consolida nei casi di estinzione del reato perché, rispetto ad un reato estinto, non è predicabile la possibilità di ottenere un rinvio a giudizio, epilogo cui è strutturalmente votata, tenuto conto della richiesta azionata dal pubblico ministero, la revoca della sentenza di non luogo a procedere.
Perciò, quando si tratta di reati di durata e l’imputazione sia stata formulata con indicazione della data finale della condotta addebitata, il ritenuto protrarsi della condotta illecita costituisce un fatto diverso, con la conseguenza che la condotta successiva viene a costituire un nuovo reato, senza che a ciò sia di ostacolo la definizione del precedente illecito quanto alle condotte cronologicamente antecedenti.
La giurisprudenza di legittimità ha affermato, sia pure con riferimento all’adozione delle misure cautelari senza che sia intervenuta la revoca della pronuncia di proscioglimento, che non sussiste alcuna preclusione quando si procede per fatto “diverso” da quello per cui è intervenuta la sentenza di non luogo a procedere ed ha chiarito che l’identità del fatto deve essere valutata in relazione agli elementi costitutivi del reato (condotta, evento e nesso causale), in analogia ai criteri elaborati per l’applicazione del divieto del ne bis in idem di cui all’art. 649 cod. proc. pen. cosicché, in tema di reato permanente (ma il principio vale in genere per tutti i reati di durata), quando l’ipotesi di incolpazione sia formulata a “contestazione chiusa”, cioè indichi la data finale dell’attività delittuosa contestata, il protrarsi dell’offesa al di là dei limiti temporali fissati impone un’ulteriore specifica incolpazione perché costituisce fatto diverso (Sez. 1, n. 29671 del 17/06/2003, Loiacono, Rv. 226142 – 01, anche in motiv.).
Da ciò discende che, nel caso in esame, i reati, oggetto della sentenza di non luogo a procedere, sono tutti estinti per prescrizione, essendo stata fissata, per ognuno di essi, la data di consumazione della condotta punibile, con la conseguenza che, per tutti, è preclusa, in ogni caso, la possibilità di ottenere il rinvio a giudizio e, a fortiori, la possibilità di ottenere la revoca della sentenza di proscioglimento a ciò finalizzata, in base all’azione esercitata nel caso di specie dal pubblico ministero.
5. Sulla base delle precedenti considerazioni, ritiene la Corte che il ricorso del pubblico ministero vada rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il 22/12/2021