di DOTT.SSA SERENA CANTARELLI (Collaboratrice Rossi, Copparoni & Partners Studio Legale)
Diventa legge, ad un soffio dalla scadenza, il d.l. n. 161/2019 recante “Modifiche urgenti sulla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”.
Le novità introdotte dalla riforma sono numerose ma la complessa vicenda di tale disciplina mette in luce le difficoltà che il legislatore ha incontrato (ed incontra) nel coniugare tra loro esigenze probatorie, diritto di difesa e tutela della riservatezza.
Per cercare di comprendere appieno tali difficoltà occorre fare un passo indietro e chiarire cosa sono, e quale ruolo hanno, le intercettazioni.
Esse sono un mezzo di ricerca della prova, sono, cioè, funzionali a permettere l’acquisizione di tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria attraverso l’ascolto e la registrazione delle altrui comunicazioni mediante strumenti meccanici o elettronici.
Appare sin da subito chiaro, dunque, come l’ambito delle intercettazioni si presenti particolarmente delicato: se da un lato, infatti, costituisce un utile e importante strumento di indagine, dall’altro esso involve diritti fondamentali quali, in primis, la libertà e la segretezza della corrispondenza che la stessa Costituzione, al suo articolo 15, definisce “inviolabili”.
Proprio allo scopo dichiarato di tutelare la riservatezza dei cittadini, spesso incisa dalla illegittima diffusione mediatica di informazioni in alcun modo attinenti ai fatti processuali, è stata operata una riforma della normativa con il D. lgs. n.216/2017 (la c.d. “riforma Orlando”).
Tuttavia, come rilevato da parte della dottrina, il condivisibile scopo di tutelare l’indebita diffusione di informazioni sensibili non sembra aver trovato un adeguato e corretto bilanciamento con i principi costituzionali in tema di giusto processo. In particolare, la complessa procedura protocollare introdotta sembrerebbe sacrificare in modo sproporzionato il diritto del cittadino alla effettiva conoscenza di tutto il materiale probatorio acquisito attraverso l’impiego di tali mezzi di ricerca della prova, vanificando, in concreto, l’esercizio delle prerogative di cui agli articoli 24 e 111 della Costituzione.
Ad ogni modo, la disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni delineata dal D.lgs. n.216/2017 è stata oggetto di numerose proroghe. Da ultimo, il nuovo d.l. n.161/2019 ha prorogato al 1° maggio 2020 il termine a partire dal quale la riforma Orlando troverà applicazione: essa, dunque, si applicherà alle iscrizioni di reato successive al 30 aprile 2020 mentre per i procedimenti in corso continua ad applicarsi la disciplina in vigore.
Tra le novità introdotte dalla riforma varata con il d.lgs. n.216/2017 assumono rilevanza l’introduzione del reato di “diffusione di riprese e registrazioni di comunicazioni fraudolente” – che punisce con la reclusione fino a quattro anni chiunque, al fine di recare danno all’altrui reputazione o immagine, diffonde con qualsiasi mezzo riprese audio o video, compiute fraudolentemente, di incontri privati o registrazioni, pur esse fraudolente, di conversazioni, anche telefoniche o telematiche, svolte in sua presenza o con la sua partecipazione – e la nuova disciplina sull’utilizzo dei c.d. “trojan horse” – ossia intercettazioni di comunicazioni o conversazioni mediante l’immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili.
Tuttavia, il passaggio centrale della riforma è costituito dalla procedura di stralcio c.d. ordinaria (o modalità ordinaria di acquisizione).
Prima della riforma, infatti, il codice disciplinava in un’unica norma, l’art 268 cpp, sia la fase dell’esecuzione delle operazioni di intercettazione, sia la fase del deposito e della selezione delle conversazioni ritenute rilevanti ai fini della prova, con stralcio di quelle inutilizzabili. Secondo tale disciplina, la selezione delle conversazioni rilevanti (e lo stralcio di quelle irrilevanti) doveva avvenire ad opera del giudice, nel contraddittorio delle parti, il quale, dopo aver provveduto, doveva disporre la trascrizione integrale delle registrazioni o la stampa delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche. Le trascrizioni e le stampe venivano poi inserite nel fascicolo per il dibattimento e solo successivamente alla trascrizione peritale i difensori potevano estrarne copia.
Nella prassi, tuttavia, il momento della selezione delle conversazioni rilevanti è sempre avvenuto in sede dibattimentale e questo senza che il mancato rispetto della procedura delineata dall’articolo 268 cpp abbia mai dato adito ad ipotesi di nullità o inutilizzabilità.
Ciò ha comportato gravi conseguenze, sia dal punto di vista del diritto di difesa che da quello della tutela della privacy e della riservatezza.
Infatti, l’art. 268 cpp limitava il diritto di difesa al solo ascolto delle intercettazioni e all’esame degli atti dopo il deposito, mentre il diritto di copia era ammesso solo al termine della procedura di stralcio e trascrizione. Tale sistema è stato ritenuto non conforme al corretto esercizio del diritto di difesa sia dalla giurisprudenza di legittimità sia dalla Corte di Cassazione la quale, dopo un primo orientamento volto a fornire una interpretazione rigorosa a tutela del diritto di riservatezza, ha aperto ampi spazi ad un’interpretazione favorevole al diritto al rilascio di copie anche in assenza della procedura di stralcio, in occasione del deposito degli atti contestuale alla chiusura delle indagini preliminari o dopo l’avviso dell’udienza preliminare.
Tale prassi ha comportato gravi controindicazioni sotto il profilo del pericolo di diffusione di conversazioni non pertinenti o non rilevanti e lesive della reputazione o contenenti dati sensibili anche di soggetti non coinvolti nelle indagini.
L’esigenza di adottare meccanismi di tutela, avvertita dagli stessi magistrati ancora prima dell’intervento del legislatore, ha portato al varo del d.lgs. n. 216/2017.
Con tale decreto, l’art. 268 cpp veniva “smembrato” e dedicato alla sola disciplina dell’esecuzione mentre al deposito veniva dedicato l’art. 268 bis cpp e alla fase di acquisizione gli articoli 268 ter e 268 quater cpp.
L’impianto normativo delineato dalla riforma, in sostanza, prevedeva la separazione del fascicolo relativo alle operazioni di intercettazione da quello procedimentale in senso stretto. Così, a differenza di quanto avveniva in base alla normativa codicistica, i risultati delle intercettazioni, quando non fossero state adottate misure cautelari (per le quali, l’acquisizione delle comunicazioni e conversazioni utilizzate veniva disposta dal P.M.), potevano confluire nel fascicolo del procedimento solo a seguito della procedura di stralcio.
Lo schema delineato dal legislatore del 2017 era piuttosto articolato e prevedeva:
- Il deposito, da parte della P.A., delle annotazioni, dei verbali e delle registrazioni, “unitamente ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione” e la contestuale formazione, da parte del P.M., dell’“elenco delle comunicazioni o conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche rilevanti ai fini di prova”;
- La richiesta del P.M. al giudice, entro cinque giorni dal deposito, di acquisizione delle registrazioni contenute nell’elenco, con contestuale comunicazione ai difensori;
- La facoltà, data alla difesa, di “richiedere l’acquisizione delle comunicazioni o conversazioni e dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, rilevanti a fini di prova, non comprese nell’elenco formato dal pubblico ministero, ovvero l’eliminazione di quelle, ivi indicate, inutilizzabili o di cui è vietata la trascrizione, anche sommaria, nel verbale”, nel termine di dieci giorni, eventualmente prorogabile per ulteriori dieci giorni;
- Il passaggio delle intercettazioni acquisite “dall’archivio riservato” al fascicolo del P.M con conseguente venir meno del segreto su tali atti e il diritto dei difensori di ottenere copia di verbali e registrazioni.
Le critiche della dottrina a tale disciplina hanno messo in evidenza, tra l’altro, come la difesa tecnica sia costretta ad esercitare il proprio controllo sia sul materiale intercettato selezionato sia su quello accantonato, in un margine di tempo eccessivamente ristretto che non può che, di fatto, sterilizzare i diritti di difesa del cittadino.
Il d.l. n. 161/2019, ora convertito in legge 28 febbraio 2020 n.7, è intervenuto cercando di sanare le lacune della precedente riforma. Si legge infatti nella relazione tecnica che: “il decreto-legge è volto, sostanzialmente, a innovare la disciplina delle intercettazioni telefoniche in funzione della necessaria tutela della riservatezza delle persone apportando nel contempo correttivi volti a eliminare alcuni effetti distorsivi, specialmente sul piano della tutela delle garanzie difensive e della funzionalità nello svolgersi delle indagini preliminari, che si potrebbero produrre con l’immediata ed integrale applicazione del decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216”.
In alcuni casi tale decreto si è spinto fino a ripristinare la vecchia normativa codicistica: è il caso dell’art 268, per il quali si ripropone la vecchia struttura.
Gli articoli 268 bis, ter e quater vengono infatti abrogati e con essi il riferimento all’acquisizione delle intercettazioni al fascicolo del PM e il collegamento tra tale acquisizione e la caduta del segreto sugli atti.
All’art. 114 cpp, invece, viene aggiunto il comma 2bis il quale dispone che “è sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisiste”.
L’articolo 268 cpp, dunque, torna ad occuparsi dell’acquisizione delle intercettazioni ma con alcune sostanziali modifiche rispetto alla formulazione codicistica ante riforma. Lo schema delineato dalla nuova legge, infatti, prevede:
- Che i verbali e le registrazioni, entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, siano immediatamente trasmessi al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio telematico gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni (salvo proroga);
- Che ai difensori sia dato immediato avviso della facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche;
- Che, scaduto il termine perché i difensori si avvalgano di tale facoltà, Il giudice disponga l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicate dalle parti che non appaiano irrilevanti, provvedendo allo stralcio di quelle inutilizzabili.
- Che il giudice possa disporre la trascrizione delle intercettazioni selezionate in una fase antecedente a quella dibattimentale.
L’articolo 268 cpp, tuttavia, deve essere letto unitamente agli articoli 415 bis e 454 del codice di procedura penale i quali, secondo la loro nuova formulazione, prevedono, in vista dell’emissione dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari o di decreto di giudizio immediato e ove non fosse intervenuta la procedura ex art 268 cpp, una procedura di selezione più snella di quella prevista in via generale. Una procedura in cui l’intervento del giudice è meramente eventuale mentre preminente è il ruolo del PM.
Così, in base all’articolo 415 bis cpp, qualora non si sia proceduto ai sensi dell’articolo 268 cpp:
- l’avviso di conclusione delle indagini preliminari deve contenere “l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di esaminare per via telematica gli atti relativi ad intercettazione, ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni telematiche e che hanno facoltà di estrarre copia delle registrazioni e dei flussi indicati come rilevanti dal PM”;
- il difensore può depositare, nel termine di 20 giorni, l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Sull’istanza provvede il PM con decreto motivato;
- il difensore può avanzare istanza al giudice affinché si proceda nelle forme di cui all’articolo 268 cpp.
La ratio seguita dal legislatore nella predisposizione una procedura di selezione semplificata sembra debba rintracciarsi nella realizzazione di un giusto contemperamento tra la tutela alla riservatezza e le esigenze del diritto di difesa.
Tuttavia, il pericolo di diffusione di conversazioni non pertinenti e lesive della reputazione o della privacy dell’indagato, così come anche dei terzi estranei, non è legato esclusivamente alla disciplina dell’attività di intercettazione. Nella prassi, infatti, può accadere (e di regola accade) che le conversazioni aventi ad oggetto notizie riservate, oltra ad essere annotate nei brogliacci, siano soggette a trascrizioni integrali, da parte della PG, in occasione delle annotazioni con cui si riferisce al PM di quanto emerso dalle operazioni. Tali annotazioni confluiscono nel fascicolo del PM e sono depositate unitamente agli atti di indagine per i quali il diritto di copia non è subordinato ad alcuna attività di selezione.
Dunque, se sembra apprezzabile il tentativo del legislatore del 2019 di affidare al PM un controllo sulla fase di prima selezione delle conversazioni affinché “dia indicazioni e vigli” perché nei brogliacci non siano riportate espressioni lesive della reputazione, ciò che appare davvero necessario è l’adozione di norme volte a regolare la redazione di tutti gli atti di indagine e, tra questi, delle informative che contengono o fanno riferimento alle intercettazioni, affinché anche tali atti siano redatti con modalità tali da evitare la diffusione di informazioni potenzialmente lesive.