di DOTT.SSA SERENA CANTARELLI
La questione è abbastanza frequente e tipica: a quanti avvocati non è mai capitato, dopo aver espletato la propria attività professionale, di non riuscire a farsi corrispondere la propria parcella professionale dal cliente? Probabilmente a nessuno.
Vediamo come procedere in questi casi.
La procedura di recupero del proprio compenso, da parte di un Avvocato, nei confronti del cliente non pagante e volto alla tutela del credito derivante dall’esecuzione di un mandato, è stata oggetto di orientamenti giurisprudenziali altalenanti che hanno trovato una composizione grazie ad una recente sentenza della Suprema Corte la quale ha posto fine ai numerosi dubbi vertenti sulla disciplina da applicare.
Secondo gli artt. 28 e ss. della previgente L. 13 giugno 1942 n. 794, l’Avvocato che voleva recuperare un credito professionale poteva optare per tre diverse strade:
1) Il procedimento speciale di cui agli artt. 28 e ss., della previgente L. 794/1942;
2) Il procedimento monitorio per decreto ingiuntivo, di cui agli artt. 633 e ss. c.p.;
3) Il giudizio ordinario di cognizione, di cui agli artt. 163 e ss. c.p.;
In particolare, il giudizio ordinario di cognizione era ammissibile laddove non poteva essere utilizzato il procedimento speciale; presupposto di tale procedimento era, infatti, che si trattasse di un credito relativo ad un procedimento civile e comunque non contestato.
L’art 34 del D. Lgs. 1° settembre 2011 n. 150 ha abrogato gli articoli 29 e 30 della L. 794/1942 e ha modificato l’art 28, il quale ora recita: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura se non intende seguire la procedura di cui all’art. 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”.
Poiché tale normativa ha apparentemente generalizzato l’applicabilità del procedimento di recupero del credito dell’avvocato in esso previsto, si è posto il problema di capire se il giudizio ordinario di cognizione debba, o meno, ritenersi ammissibile.
Ora, secondo parte della giurisprudenza di merito nulla era cambiato rispetto al passato, avendo il procedimento ex art. 14 D.Lgs. 150/2011 mantenuto le medesime caratteristiche di quello disciplinato dai vecchi artt. 28, 29 e 30 della L. 794/1942; in particolare, l’ambito di applicazione ai soli procedimenti civili e per crediti non contestati.
Pertanto, secondo questa tesi, laddove mancavano i presupposti per l’applicazione del procedimento speciale o vi erano contestazioni sull’an, il giudice del procedimento speciale doveva limitarsi ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso speciale.
In senso contrario, la giurisprudenza prevalente riteneva che il giudizio sulla liquidazione dei compensi dell’Avvocato, anche qualora si discuteva sull’an, doveva essere trattato con il “nuovo” rito sommario, il quale comunque garantiva una cognizione piena della posizione soggettiva dedotta in giudizio, seppur con una trattazione ed un’istruzione semplificate.
Di conseguenza, nel caso in cui il giudizio in tale materia veniva introdotto con rito ordinario, il Giudice doveva disporre il mutamento del rito ordinario in sommario.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4885 del 23.02.2018 ha, come anticipato, risolto il conflitto interpretativo emerso tra le sue Sezioni ed aderito a tale ultimo orientamento; ha, pertanto, escluso che le controversie previste dall’art. 28 della L. 794/1942 (così come modificato dall’art. 34 del D. Lgs n.150/2011) possano essere trattate con procedure diverse da quelle previste dall’art 14 del D.Lgs. 150/2011, anche nelle ipotesi in cui la domanda riguardi l’an della pretesa.
In conclusione, a seguito dell’introduzione dell’art 14 del D.Lgs 150/2011, l’Avvocato che voglia recuperare un credito professionale può optare per due diverse tipologie di procedimento:
1) La procedura monitoria, artt. 633 e ss. c.p.c;
2) La procedura speciale disciplinata dal combinato disposto dell’articolo 14 e degli articoli 3 e 4 del citato decreto legislativo e dalle norme degli articoli 702 bis e seguenti c.p.c.
Il procedimento di ingiunzione è un rito speciale caratterizzato dal fatto che il titolare di un diritto di credito, in possesso dei requisiti prescritti dalla legge, può ottenere un decreto di condanna (decreto ingiuntivo) nei confronti del debitore in forme più celeri ed agevoli rispetto a quelle tipiche del processo ordinario di cognizione.
All’interno di tale tipologia di procedimento, il nostro legislatore ha previsto un modello di procedimento monitorio semplificato c.d. “documentale”; procedimento ovviamente limitato a poche eccezioni, previste dai commi 2 e 3 dell’art. 633 commi 2 e 3 c.p.c.
In tali casi, l’ottenimento del decreto ingiuntivo è bastato sulla mera dichiarazione unilaterale del creditore in virtù della sula particolare affidabilità. È il caso dell’Avvocato, il quale è legittimato a richiedere un decreto ingiuntivo qualora il compenso professionale non onorato dal cliente sia stato, con quest’ultimo, espressamente concordato o sia fondato su un preavviso di parcella debitamente opinato dall’ordine professionale.
L’Avvocato, infatti, non può mai fondare la sua richiesta sulla sola parcella pro forma a meno che questa non sia in linea con i parametri minimi previsti dalla legge.
Nel caso in cui l’Avvocato non voglia recuperare il proprio credito mediante decreto ingiuntivo potrà, invece, scegliere l’altra via del rito sommario di cognizione “speciale”.
La legge, infatti, consente all’Avvocato creditore del proprio cliente di fare ricorso al Giudice non per l’emissione di un decreto ingiuntivo bensì per fissare un’udienza che darà il via ad un vero e proprio processo. Tale giudizio è connotato dalla particolare brevità della trattazione e dalla pronta decisione del Giudice dato che, molto probabilmente, deciderà direttamente sulla scorta della documentazione prodotta dall’Avvocato.
Tale rito evita, in ogni caso, la procedura di opinamento della parcella da parte del Consiglio dell’ordine.
Inoltre, il ricorso al rito sommario evita all’Avvocato di sottoporre la propria parcella all’approvazione del Consiglio dell’Ordine.
E’ consigliabile questa seconda via specialmente quando non vi sia un accordo sottoscritto dal cliente riguardo alla parcella dell’Avvocato e, al fine di evitare i tempi ed i costi della c.d. procedura di opinamento ed un eventuale opposizione al decreto ingiuntivo, si è preferito percorrere la strada del rito sommario di cognizione “speciale”.
In sede di contestazione verbale in merito ad una parcella ritenuta esosa emessa dal proprio legale il quale senza preavviso iniziava azione di recupero verso terzi avvalendosi della procedura tramite il proprio ordine professionale .È giusta questa procedura? Come ci si può opporre?grazie
In linea generale la procedura è corretta ed è possibile opporsi al decreto ingiuntivo tramite ricorso. Ad ogni modo, per fornirle una risposta corretta ed esauriente, sono necessarie molte più informazioni specifiche. Se ritiene ci contatti all’indirizzo mail o telefonicamente. Cordialmente.
e’ possibile per l’avvocato richiedere un sequestro conservativo ante causam, quando vi è il pericolo imminente che il cliente si stia liberando dell’unico bene immobile di sua proprietà e non c’è tempo per farsi opinare la notula dal consiglio dell’ordine degli avvocati e poi iniziare la causa di merito ai sensi del procediemnto speciale simile a quello di cui all’art. 702 bis cpc?
Oppure si può iniziara il procediemnto ai snesi dell’art. 702 bis cpc e nell’ambito del medesimo richiedere il sequestro conservativo in via immedaita e inaudita altera parte?