Avv. TOMMASO ROSSI in collaborazione con la dott.ssa SOFIA ERMINI (Articolo Pubblicato su “L’Amministrativista- Il Portale sui contratti e gli appalti pubblici” della Giuffré)
COMMENTO A SENTENZA Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 08 luglio 2020 n. 4372.
SOMMARIO: Massima – Il caso – La questione – Le soluzioni giuridiche – Osservazioni – Guida all’approfondimento
MASSIMA: L’informazione interdittiva antimafia è legittima anche qualora sussista un’estraneità formale dell’impresa a vicende penalmente rilevanti, in presenza di elementi concreti che denotino tentativi di infiltrazione mafiosa volti a realizzare uno stato di asservimento o condizionamento nella gestione dell’attività economica, pur se gli stessi non siano assistiti da un’evidenza tale da ritenere in ambito penale raggiunta la relativa prova “oltre ogni ragionevole dubbio”. E’ legittimo, dunque, il provvedimento prefettizio che si fondi sulle frequentazioni e relazioni parentali e affettive tra soggetti interni all’azienda e affiliati a consorterie criminali tali, secondo il metro di valutazione del “più probabile che non”, da poter rappresentare una via d’accesso agevolata alla gestione dell’impresa.
In senso conforme: Cons. St., sez. III, 11 maggio 2020, n. 2962; Cons. St., sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855; Cons. Stato 27 novembre 2019 n. 6707; Cons. St., sez. III, 9 maggio 2016, n. 1846.
In senso difforme: T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez. I, n. 5310/2015.
IL CASO: La controversia in oggetto trae origine dall’appello presentato dalla Società- nei cui confronti era stata assunta la misura interdittiva antimafia dalla Prefettura di Napoli- contro il provvedimento del TAR competente, che ne aveva confermato la piena legittimità.
Nel dettaglio, la Prefettura era giunta alla decisione di adottare la nota interdittiva, avendo ricostruito un quadro caratterizzato da elementi concreti da cui risultava indubbia la sussistenza di relazioni e frequentazioni pericolose per la gestione della società, in ordine non solo alla figura dell’amministratore in essa operante, ma anche circa l’ambiente in cui si trovava ad esercitare l’attività economica. La Società appellante, dal canto suo, richiedeva l’annullamento, di tale nota interdittiva antimafia assunta ai sensi degli artt. 84 e 91 d.lgs. 159/2011 e della nota di revoca di iscrizione e cancellazione all’Anagrafe antimafia degli esecutori (art. 30 comma 6, D.L. 189/2016, L. 229/2016), ritenendo i motivi addotti dalla Prefettura non sussistenti, evidenziando in particolare che i rapporti e le frequentazioni ritenute pericolose non interessavano direttamente la Società o il suo amministratore, ma parenti che risultavano estranei alla compagine sociale.
Il Consiglio di Stato, nella sentenza in commento, ha condiviso quanto statuito dal giudice di primo grado, rigettando l’appello proposto e confermando perciò la legittimità delle valutazioni della Prefettura di Napoli sul punto. In particolare, i Giudici della Terza sezione hanno statuito che l’informazione interdittiva antimafia è legittima anche qualora sussista un’estraneità formale dell’impresa a vicende penalmente rilevanti, purché si sia in presenza di elementi concreti che denotino tentativi di infiltrazione mafiosa volti a realizzare uno stato di asservimento o condizionamento nella gestione dell’attività economica.
LA QUESTIONE: La questione giuridica oggetto della pronuncia si focalizza dunque sui requisiti ed elementi che debbono sussistere concretamente affinché si possa adottare l’informazione interdittiva antimafia. In particolare, ci si interroga se, in ragione del disvalore sociale e del notevole danno che comporta l’infiltrazione di soggetti portatori di interessi contrastanti con quello dello Stato, si giustifichi il conferimento all’Autorità di P.S. di una gamma di poteri (da esercitarsi in fase preventiva e anticipatoria rispetto al procedimento penale) così ampia da poter prescindere da un quadro indiziario fondato (come in sede penale) sul criterio del “oltre ogni ragionevole dubbio”, cedendo il passo in vero a quello (assai meno garantista) del “più probabile che non” .
La criticità che emerge nella sentenza riguarda la rilevanza assunta, nelle valutazioni che la Prefettura è tenuta ad effettuare, dalle frequentazioni e relazioni che intercorrono non già tra la società o i suoi organi direttivi e ambienti criminali, ma tra tali ambienti e soggetti che all’interno dell’impresa rivestono ruoli secondari e defilati, laddove tali cointeressenze facciano in ogni caso presumere la disponibilità dell’impresa e dei suoi gestori a far entrare logiche criminali all’interno delle valutazioni gestionali.
Ci si interroga principalmente attorno a quanto previsto dall’art. 84 co. 4 e 91 co. 6 del D. Lgs. 159/2011, e quanto debba essere indicato nella motivazione dell’informazione interdittiva antimafia (ai sensi dell’art. 3 della L. 241/1990) relativamente alla tipologia dei legami e delle frequentazioni con ambienti di criminalità organizzata che coinvolgono la società, domandandosi se queste siano rilevanti solo in caso di coinvolgimento degli organi direttivi o se, al contrario, sia sufficiente un legame con soggetti all’interno dell’impresa che denoti (anche solo nei termini indiziari del “più probabile che non”) un tentativo di infiltrazione mafiosa volto a realizzare uno stato di asservimento o condizionamento nella gestione dell’attività economica, e tale da poter rappresentare una via d’accesso agevolata alla gestione dell’impresa.
LE SOLUZIONI GIURIDICHE: Il Collegio ritiene importante innanzitutto, al fine di valutare in concreto il pericolo di infiltrazione, porre l’attenzione sulla circostanza che non rende illegittima l’adozione della nota interdittiva antimafia il mancato coinvolgimento della società (o dei suoi organi direttivi) in vicende non ancora accertate definitivamente, seppure recanti il sospetto a livello indiziario di un legame tra consorterie criminali e soggetti interni all’impresa. L’orientamento giurisprudenziale consolidatosi negli ultimi anni, infatti, evidenzia la variazione nei comportamenti delle associazioni di stampo mafioso (comunque localmente denominate) che sono passate da “una stagione di stragi sanguinarie” ad un interesse volto all’introduzione nelle trame economiche legate a commesse pubbliche o private di grande spessore, raggiungibili tramite l’acquisizione di relazioni poco ortodosse con persone compiacenti (definizione chiaramente delineata dal Cons. St., Sez. III, 11/05/2020, n. 2962) e di qui la rilevanza da attribuire necessariamente allo studio delle frequentazioni connesse alle imprese o società. Il condizionamento o asservimento può derivare infatti dall’intreccio di relazioni che si verificano con soggetti ambigui, i quali solitamente non assumono cariche direttive ed importanti proprio per introdursi all’interno del tessuto societario ed arrivare ad incidere sulle scelte gestionali dell’attività svolta.
Il Collegio insiste sul carattere preventivo dell’informativa antimafia e pone l’accento in particolare sull’art. 84 co. 4 del D. Lgs. 159/2011, richiamando le situazioni da questo previste secondo cui la Prefettura è tenuta ad adottare il provvedimento anche quando sussistano fatti criminosi potenzialmente strumentali all’organizzazione criminale, “unitamente” ad elementi concreti, che facciano presumere una probabile ingerenza nelle attività utili al perseguimento dei loro scopi, realizzando perciò la condizione di asservimento e connivenza.
In questo modo si sottolinea la necessità di adozione dell’informativa anche laddove, pur non sussistendo un legame diretto tra ambienti criminali e società o posizioni apicali che consentirebbero un condizionamento diretto sull’operato, emergano elementi tali da far presumere- secondo un criterio di valutazione della prova fondato su un canone più ampio rispetto a quello proprio del Giudice penale – un’infiltrazione criminale all’interno delle scelte di impresa.
In particolare, qualora come in questo caso, l’elemento principale di questa valutazione dovesse consistere in un rapporto di parentela o frequentazione tra un componente della compagine sociale e un’organizzazione criminale, la Prefettura al momento dell’adozione dell’interdittiva dovrà valorizzare lo stesso non solo alla stregua di mero vincolo parentale, ma di elemento che consente di presumere una possibile agevolazione dell’attività criminosa all’interno della società, anche in ragione della mancata presa di distanza concreta e certa dal metodo e dal mondo criminale che l’impresa avrebbe potuto e dovuto porre in essere.
OSSERVAZIONI: Attraverso la pronuncia in commento il Consiglio di Stato procede verso la direzione, già consolidata, che legittima l’operato della Prefettura che assuma un’informazione interdittiva antimafia anche in ipotesi in cui gli elementi concreti che fanno supporre un tentativo di infiltrazione mafiosa risultino da rapporti non intercorrenti con la società in via diretta (o con componenti degli organi direttivi), e anche in presenza di un quadro indiziario non provato “oltre ogni ragionevole dubbio”.
In questo caso, è sottile e non va travalicata la labile linea di confine tra la discrezionalità propria di una misura di prevenzione di tipo amministrativo, e la tutela di diritti costituzionalmente garantiti (si pensi alla libera iniziativa economica o alla tutela dei rapporti familiari), laddove lo spartiacque non può che essere in ogni caso rappresentato dalla proporzionalità che deve guidare la scelta amministrativa.
Non è, dunque, una questione di eccessiva anticipazione della soglia di valutazione della colpevolezza, che se traslata in sede penale contrasterebbe con i princìpi di cui agli artt. 27 e 11 Cost., ma di valutazione di ragionevolezza e proporzionalità/adeguatezza della scelta della misura da parte dell’organo di P.S.
A riguardo occorre comunque considerare che nel tempo si è formata un’ampia giurisprudenza, che se connessa con le disposizioni previste dal D.Lgs 159/2011, in particolare l’art. 84 co. 4, evidenzia una sorta di elenco-casistiche in cui risulta necessario adottare l’informazione interdittiva antimafia, sopperendo perciò a eventuali genericità e ad una mancata tipica delle condotte sintomatiche (Cons. St., sez. V, 18 marzo 2019, n. 1743), asserite da sentenze provenienti anche dalla Corte di Strasburgo (Corte EDU nella causa De Tommaso c/Italia (sentenza 23/2/2017)).
GUIDA ALL’APPROFONDIMENTO: In dottrina si segnala, Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, a cura di Giuseppe Amarelli, Saverio Sticchi Damiani, Torino, Giappichelli, 2019; L’informazione interdittiva antimafia, di Oreste Morcavallo, collana Officina, Amministrativo e processo, Milano, Giuffrè, 2019.