FOCUS SULL’ORIGINE DELLE MERCI E TUTELA DEL MADE IN ITALY (segue)
di avv. TOMMASO ROSSI
Negli scambi commerciali internazionale, l’origine non preferenziale costituisce la regola che in generale determina la fiscalità in importazione da Paesi con i quali l’Unione Europea non ha concluso accordi tariffari. E’ il caso ad esempio dei rapporti commerciali tra l’UE e gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia; con il Canada è stato concluso nel settembre 2017 un accordo di libero scambio (il c.d. CETA) di portata epocale, al quale nel luglio 2018 il governo italiano ha scelto di non aderire destando critiche e perplessità tra gli operatori commerciali.
In caso, dunque, di importazione all’interno del territorio dell’Unione verrà applicata la corrispondente aliquota della Tariffa Doganale europea.
L’origine non preferenziale è attestata da un certificato d’origine rilasciato dalle camere di commercio su richiesta dell’esportatore. Nei casi dubbi, l’autorità doganale può richiedere qualsiasi prova complementare che contribuisca ad accertare che l’origine indicata sia realmente rispondente alle regole comunitarie.
A livello di commercio internazionale non vi sono regole cogenti e universali che rechino la disciplina dell’origine del prodotto, sebbene la Convenzione di Kyoto del 1973 (“Convenzione Internazionale sulla semplificazione ed armonizzazione delle procedure doganali”) abbia dettato dei criteri generali per le regole sull’origine non preferenziale di una merce.
In Europa, invece, il panorama normativo è dato anzitutto dall’art. 60 CDU, il quale prevede che “le merci interamente ottenute in un unico Paese o territorio sono considerate originarie di tale Paese o territorio.” E’ la cosiddetta “origine semplice”.
Un esempio ne sono i prodotti minerali estratti in tale Paese, i prodotti del regno vegetale ivi raccolti, gli animali vivi, ivi nati e allevati, i prodotti provenienti da animali vivi ivi allevati, i prodotti della caccia e della pesca ivi praticate (art.31 Reg. UE 2446/2015).
Ma anche prodotti della pesca marittima e altri prodotti estratti dal mare fuori dalle acque territoriali di un Paese, da navi immatricolate e battenti bandiera di quel Paese; merci ottenute a bordo di navi officina da prodotti di pesca marittima originari di tale paese; prodotti estratti dal suolo o sottosuolo marino situato fuori dalle acque territoriale in presenza di diritti esclusivi di sfruttamento da parte di un Paese; tutte le merci ottenute esclusivamente dai prodotti elencati fino ad ora, in qualsiasi stadio esse si trovino.
In certi casi è più complesso determinare l’originale doganale di una merce, e si deve verificare dove il bene abbia subito l’ultima trasformazione industriale sostanziale. E’ il caso della c.d. “origine composta”.
Se pensiamo ad esempio ad un articolo elettronico o tessile-manifatturierio, è facile capire come sempre più spesso la produzione avviene utilizzando materie prime, componentistica o fasi di lavorazione di altri Paesi.
L’art. 60 CDU stabilisce che “le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”1.
Per essere considerata “sostanziale”- secondo gli artt. 32 e 33 RD- una lavorazione o una trasformazione deve essere economicamente giustificata (ovverosia deve contribuire ad un aumento di valore: c.d. “regola del valore aggiunto”), effettuata da un’impresa attrezzata a tale scopo e deve aver dato vita ad un prodotto “nuovo”, con composizione e proprietà specifiche che prima di tale lavorazione non possedeva ovverosia rappresentare una fase importante del processo di fabbricazione.
Tale regola viene sviluppata nell’allegato 22-01 del Regolamento delegato UE n. 2446/2015, e collegata alla classificazione tariffaria del prodotto. Sono considerate “lavorazioni sostanziali”, tali dunque da conferire un’origine non preferenziale al prodotto, quelle effettuate nel Paese in cui il processo di produzione ha comportato un cambio di classificazione tariffaria (c.d. regola del “salto di voce”, secondo la struttura della Nomenclatura Combinata alla base del sistema TARIC in uso nella Comunità Europea: in sostanza devono cambiare le prime 4 cifre del codice di nomenclatura doganale).
Al contrario si considerano sempre “lavorazioni o trasformazioni insufficienti” quelle tipologie di lavorazioni o trasformazioni che non incidono significativamente sulla natura di un bene, non conferendo mai allo stesso carattere originario, ma sono effettuate solo per assicurare la conservazione o la commercializzazione del bene.
E’ questo il caso delle c.d. “operazioni minime” in cui rientrano le manipolazioni destinate ad assicurare la conservazione dei prodotti durante il loro trasporto e magazzinaggio, le operazioni di spolveratura, vagliatura o cernita, selezione, classificazione, assortimento, lavatura, riduzione in pezzi, i cambiamenti d’imballaggio, di riempimento di bottiglie, lattine, boccette, borse, casse o scatole, o di fissaggio a supporti di cartone o tavolette, l’apposizione sui prodotti e sul loro imballaggio di marchi, etichette o altri segni distintivi, la semplice riunione di parti di prodotti allo scopo di formare un prodotto completo (art. 34 del Regolamento 2446/2015).
Tali regole valide per l’origine non preferenziale si applicano anche nelle transazioni commerciali tra Paesi accordatari, tra i quali potrebbe farsi valere l’origine preferenziale, quando la merce spedita manchi della documentazione comprovante l’origine del prodotto.
1Sul tema della centralità del concetto di ultima trasformazione sostanziale anche nel nuovo codice unionale, cfr. Circolare Agenzia delle Dogane e dei Monopoli n.8D, prot.47577, del 19 aprile 2016.