di Avv. Valentina Copparoni
La Reuters ha diffuso la notizia che a breve in Somalia avrà inizio per la prima volta un processo contro le mutilazioni genitali femminili (MGF).
La decisione – sicuramente di portata storica per questo Paese – è stata presa dal Procuratore generale Ahmed Ali Dahir a seguito della morte nel mese di luglio scorso di una bambina di soli 10 anni che, dopo essere stata accompagnata dalla madre per essere sottoposta alla crudele pratica di mutilazione genitale da parte di un “santone” locale, ha avuto quale conseguenza una grave emorragia che purtroppo, anche dopo l’intervento di medici in ospedale, l’ha portata alla morte per dissanguamento dopo due giorni di sofferenze.
Il vice primo ministro della Somalia Mahdi Mohamed Gulaid a questo proposito ha dichiarato: “Questo è davvero un momento cruciale per il nostro Paese. Queste cose non devono più succedere nel 21esimo secolo perché non sono parte della nostra religione o cultura“.
In Somalia la costituzione probisce le MGF ma di fatto non esiste una legge contro le mutilazioni genitali femminili che punisca i trasgressori anche se potrebbero essere puniti in base al codice penale del Paese che considera reato cagionare un danno fisico ad altra persona. Ed è proprio in questo Paese che circa il 94% delle bambine tra i 4 e gli anni viene regolarmente sottoposto a queste crudeli pratiche considerate una tradizione ed un obbligo religioso, pratiche compiute quasi sempre senza alcuna anestesia, da persone senza alcuna preparazione medica ed in condizioni igieniche precarie se non addirittura assenti e in luoghi e con attrezzature del tutto inadeguati. Un dato terrificante quello rilevato in Somalia, il più alto tasso al mondo secondo le stime effettuate dall’ONU, per questo se si dovesse arrivare ad una sentenza di condanna delle MGF proprio in questo Paese, sarebbe davvero un evento di portata storica che andrebbe ben oltre i confini della Somalia.
Indatti i dati parlano chiaro.
Duecento milioni di donne e bambine in tutto il mondo, residenti in 30 paesi, sono vittime di mutilazioni genitali: questi i dati presentati da Unicef nel 2016 in occasione della Giornata internazionale contro la mutilazione femminile.
I dati sono superiori a quelli dichiarati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che stima il numero di donne e ragazze mutilate tra i 100 e i 140 milioni. Sempre secondo l’OMS, ogni anno tre milioni di ragazze subiscono queste pratiche. Il terzo paese con più mutilazioni è l’Indonesia, preceduta da Egitto ed Etiopia.
Secondo una ricerca coordinata per l’Italia dall’Università degli Studi di Milano – Bicocca,le donne presenti sul nostro territorio nazionale che sono state sottoposte durante l’infanzia a mutilazioni genitali tra le 61mila e le 80 mila. Il gruppo più numeroso è quello nigeriano che costituisce oltre la metà del totale delle donne con mutilazioni genitali insieme a quello egiziano.
Ulteriori indagini hanno permesso di stimare la prevalenza del fenomeno all’interno delle singole comunità: le donne provenienti dalla Somalia hanno una prevalenza più alta che supera il 90%, segue Nigeria (79,4 %), Burkina Faso (71,6%), Egitto (60,6 %) ed Eritrea (52,1 %). I dati diffusi dalla ricerca e aggiornati al 2016 mostrano che in Italia il numero totale di donne straniere maggiorenni che hanno subito mutilazioni genitali femminili sia tra le 46mila e le 57mila a cui si aggiungono le neo cittadine italiane maggiorenni originarie dei paesi dove la pratica esiste e che quantificate tra le 11 e le 14mila e le richiedenti asilo.
Molte le associazioni e le organizzazioni che stanno cercando di combattere questo terribile fenomeno attraverso un’attività attenta e continua di informazione e sensibilizzazione consapevoli che forse soltanto attraverso l’istruzione le donne possono davvero decidere di non accettare le MGF e di ribellarsi per loro e per le generazioni future. In Etiopia, altro Paese in cui è molto alto il tasso di incidenza di tali pratiche, è nato un vero è proprio club di 50 ragazze in una scuola etiope supportata dall’ong Plan international. Un gruppo di “piccole donne” chiamato “Uncut girls club” (“il Club delle ragazze non mutilate”) che si riunisce in una scuola nel distretto di Bonazura in Etiopia per confrontarsi sui rischi delle mutilazioni genitali femminili e sulle strade possibili per combatterle coinvolgendo anche le famiglie per aiutare loro a comprendere i motivi del rifiuto di tali pratiche.
Potrebbe sembrare solo una piccola goccia nel mare, ma una goccia che fa e crea la differenza e che può generale l’onda del profondo cambiamento.