di Dott.ssa Veronica Botticelli
In occasione della recentissima sentenza dello scorso 17 novembre, resa in relazione al caso ‘B. e C. contro Svizzera’, la terza sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora in avanti, Corte EDU), è tornata ad occuparsi nuovamente delle problematiche, tanto applicative quanto sostanziali, caratterizzanti la procedura di rimpatrio di individui omosessuali richiedenti asilo.
A tal proposito, la pronuncia in commento si inserisce nell’alveo dei numerosi precedenti giurisprudenziali grazie ai quali i giudici di Strasburgo hanno a più riprese sottolineato il potenziale rischio che la suddetta procedura pone in relazione alla tutela dei diritti fondamentali. Nondimeno, con la sentenza in esame, per la prima volta la Corte ha ravvisato una macroscopica violazione, nel caso di specie ad opera della Svizzera, dell’art. 3 della Convenzione (divieto di trattamenti inumani e degradanti), in ragione del fatto che le autorità elvetiche hanno omesso di valutare adeguatamente il rischio che il ricorrente potesse effettivamente subire maltrattamenti in Gambia, suo paese di origine, in ragione del suo status di individuo omosessuale.
La vicenda trae origine da un ricorso congiunto depositato presso la Corte di Strasburgo da parte di due cittadini, B. e C. – l’uno di nazionalità gambiana, il secondo di nazionalità svizzera –, stabilmente conviventi sino al momento del decesso di quest’ultimo, avvenuto in data 15 dicembre 2019.
Già a partire dal 2008 B. aveva avviato le procedure necessarie al fine di vedersi riconosciuto il diritto d’asilo; nondimeno, le autorità adite provvedevano a rigettare tale richiesta, dal momento che le medesime non ritenevano pienamente credibili le allegazioni dell’uomo circa l’esistenza di precedenti maltrattamenti subiti in Gambia.
Nel 2014, contestualmente alla registrazione della convivenza tra i due uomini, C. presentava una richiesta di ricongiungimento familiare a beneficio del proprio partner, salvo vedersi anche in questo frangente rigettato il ricorso. In sede di appello, l’Ufficio di Sicurezza e Giustizia del Canton San Gallo negò nuovamente a B. il diritto di rimanere in Svizzera in pendenza del procedimento di ricongiungimento familiare. La suddetta decisione è stata fatta oggetto di ulteriore ricorso innanzi alla Corte Suprema Federale la quale, dopo aver considerato l’esistenza di precedenti penali di B. nel Canton Lucerna e il conseguente periodo di detenzione scontato in carcere dal ricorrente, affermava che l’espulsione di B. dal territorio elvetico era pienamente giustificata.
Tale pronuncia veniva legittimata alla luce di diversi fattori: in prima battuta, sul presupposto che B. poteva beneficiare di una fitta rete familiare nel proprio paese d’origine; in secondo luogo, in base alla circostanza secondo cui le tutele approntate dal Gambia nei confronti di individui omosessuali erano notevolmente incrementate e migliorate nel corso del tempo; in via ulteriore, considerando il fatto che l’orientamento sessuale del ricorrente non era stato giudicato di un’importanza tale da esser ‘attenzionato’ alle autorità nazionali o alla popolazione gambiana; da ultimo, sul fondamento che l’espulsione di B., già non ben integrato in Svizzera, si rendeva necessaria in ragione della tutela di un interesse pubblico preponderante.
Nel rendere la decisione sul caso, i giudici di Strasburgo hanno anzitutto operato un rinvio ai principi generali già affermati nel caso J.K. ed altri c. Svezia, esaminato in sede di Grande Camera, laddove si affermava che il rimpatrio di una famiglia irachena, richiedente asilo in Svezia, potesse integrare un trattamento inumano e degradante nella misura in cui i ricorrenti erano stati costretti a subire maltrattamenti e violenze per mano del regime di Al-Qaeda.
La sentenza in commento presenta evidenti tratti di originalità rispetto alla previgente giurisprudenza; tuttavia, occorre rilevare come la medesima rechi tra le proprie righe luci ed ombre, costituendo un’occasione mancata. Nel caso di specie, la Corte EDU ha rilevato come l’evoluzione del quadro storico-politico del Gambia, pur avendo compiuto significativi passi in avanti nel senso di fornire una crescente tutela per le persone appartenenti alla comunità LGBTI, non può in ogni caso esser considerato ‘garantista’, dal momento che la continua criminalizzazione di atti omosessuali nel paese non fa altro che alimentare la convinzione circa l’assoluto divieto di omosessualità.
Nondimeno, dopo essersi pronunciata sulle questioni del caso concreto, la Corte EDU si è preoccupata di ‘aggiustare il tiro’ – presumibilmente al fine di scongiurare futuri ricorsi pretestuosi –, affermando a chiare lettere che la criminalizzazione di atti omosessuali da parte del sistema penale di uno Stato non può di per sé costituire requisito sufficiente per rendere la procedura di rimpatrio contraria alle disposizioni della CEDU.
Peraltro, un ulteriore aspetto di particolare interesse della sentenza in commento è costituito dal fatto che il principale rischio per il ricorrente, secondo quanto rilevato dalla Corte, fosse arrecato dalla persecuzione di attori non-statali, a conferma della crescente attenzione che la CEDU sta rivolgendo anche ai rapporti ‘orizzontali’, accantonando il tradizionale rapporto individuo-Stato.
In ultima istanza, la Corte EDU ha condannato la Svizzera per aver manifestamente violato l’art. 3, contestualmente ponendo in capo allo Stato l’obbligo di corrispondere un adeguato ristoro per i danni patiti dal ricorrente. Quanto alle sorti di B., in ossequio a quanto disposto dall’Articolo 39 del Regolamento della Corte in tema di misure provvisorie, i giudici di Strasburgo hanno ordinato alle autorità governative elvetiche di non procedere all’espulsione del ricorrente fino al momento in cui la pronuncia non sarebbe divenuta definitiva, ovvero fino a nuova decisione.
Dunque, pur riconoscendo l’assoluta importanza dell’operato della Corte EDU in funzione della salvaguardia dei diritti fondamentali, resta ancora molta la strada da percorrere in futuro verso il riconoscimento di una piena tutela in favore delle coppie omosessuali, auspicando ad una parificazione di genere capace di annullare qualsivoglia discriminazione.
Link alla sentenza B. e C. contro Svizzera (versione in lingua inglese): http://hudoc.echr.coe.int/fre?i=001-206153.
Link alla sentenza J.K. ed altri contro Svezia (versione in lingua inglese): http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-165442.