TRA PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ E MARGINE DI APPREZZAMENTO, CON UNO SGUARDO ALL’EMERGENZA COVID-19
di Dott.ssa Veronica Botticelli
In occasione della recentissima sentenza dello scorso 8 aprile 2021, pronunciata nel caso Vavřička and Others v. Czech Republic*, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo (d’ora in avanti, Corte EDU o Corte) ha affrontato, per la prima volta nella sua giurisprudenza, la complessa tematica riguardante la legittimità delle procedure di vaccinazione obbligatoria nei confronti di minori (con particolare riferimento, nel caso di specie, a malattie note alla scienza medica ed adeguatamente studiate dalla comunità scientifica), giudicandole idonee ad integrare una misura ‘necessaria’ in una società democratica. Trattasi, con ogni evidenza, di una pronuncia di assoluto rilievo, che giunge da Strasburgo con un tempismo straordinario, stante il corrente dibattito inerente all’opportunità di rendere obbligatorio il vaccino contro il Covid-19. Invero, pur essendo indubitabile che quest’ultimo rappresenti, allo stato attuale, il principale espediente in grado di porre fine alla crisi pandemica in corso, permangono ancora numerose perplessità circa l’effettività di tale rimedio, ulteriormente alimentate da alcuni decessi connessi ad eventi trombotici causalmente ricollegati alla somministrazione di dosi di vaccino, che hanno condotto alla sospensione delle medesime, in via del tutto precauzionale, in diversi Paesi dell’Unione europea, ivi compresa l’Italia.
Sul punto, la pronuncia che qui si commenta individua specifiche linee-guida che il legislatore nazionale è tenuto ad osservare in modo tale da rendersi conforme al principio di non ingerenza nella vita privata, sancito dall’art. 8 CEDU, sviluppando una normativa in grado di salvaguardare l’equilibrio tra i diritti, in principio intangibili, della sfera giuridica individuale e la necessità di tutela della salute pubblica. Con specifico riferimento alla controversia in esame, sottoposta all’attenzione dei giudici di Strasburgo mediante ricorso individuale (art. 34 CEDU), alcuni genitori di nazionalità ceca lamentavano una presunta violazione, a proprio danno, del poc’anzi citato art. 8 CEDU, per esser stati multati in seguito ad espresso rifiuto di sottoporre i propri figli a vaccinazione obbligatoria, prevista dalla normativa interna quale necessario requisito per consentire la regolare iscrizione dei minori alla scuola d’infanzia.
I ricorrenti fondavano le loro pretese sulla circostanza, altresì riconosciuta da significativi precedenti giurisprudenziali della Corte EDU, secondo cui le procedure di vaccinazione obbligatoria sono suscettibili di avere un notevole impatto su diversi diritti fondamentali tutelati dalla Convenzione, provocandone un’intollerabile soppressione: tra i più importanti, accanto al già citato principio di non ingerenza nella vita privata e familiare, vengono senz’altro in rilievo il diritto alla vita (art. 2 CEDU), il divieto di tortura ed altri trattamenti inumani e degradanti (art. 3 CEDU), la libertà di pensiero, coscienza e religione (art. 9 CEDU). Accanto ai diritti convenzionali, e con riferimento alla peculiarità della vicenda in esame, occorre altresì menzionare l’art. 6, § 2 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina, ai sensi del quale, al fine di effettuare un determinato intervento medico nei confronti di un soggetto minore (che, per definizione, non ha la capacità di esprimere validamente il proprio consenso), occorre l’autorizzazione del suo rappresentante, di un’autorità o di altra persona od organismo designato dalla legge, ferma restando la facoltà di prendere in considerazione il parere del minore interessato, idoneo a rappresenta un fattore determinante a seconda della sua età, nonché del suo grado di maturità; infine, l’obbligo vaccinale è suscettibile di avere importanti ripercussioni sul diritto all’educazione, sancito dall’art. 2, Primo Protocollo Addizionale della CEDU, nell’ipotesi in cui il medesimo costituisca un’indefettibile prerogativa per l’ammissione del minore ad un istituto scolastico.
A tal proposito, occorre anzitutto rilevare come, in occasione di alcune precedenti decisioni in materia di vaccinazione obbligatoria (sebbene non circoscritte all’ambito minorile), la Corte EDU abbia sempre ritenuto tali procedure sanitarie conformi al dettato convenzionale.
Effettuando una breve disamina della pregressa giurisprudenza, infatti, risulta che, ad esempio, l’art. 2 CEDU non risulta violato dai programmi di vaccinazione obbligatoria nel caso in cui non vi sia alcuna evidenza della loro idoneità a provocare un danno sanitario al paziente. Con riferimento all’art. 3 CEDU, la previsione di trattamenti sanitari obbligatori, laddove ritenuti assolutamente essenziali ed adottati in conformità a standard medici universalmente riconosciuti, non è idonea ad integrare atti di tortura o condotte inumani o degradanti. Ancora, per ciò che concerne l’art. 9 CEDU, che riconosce a ciascun individuo il generale diritto di autodeterminarsi (facoltà che, di norma, riveste carattere ‘assoluto’), incontra un limite invalicabile nelle ipotesi in cui, al fine di fronteggiare un’emergenza sanitaria, vi sia un prevalente interesse a salvaguardare la collettività, anche e soprattutto mediante la previsione di procedure di vaccinazione obbligatoria.
Infine, quanto alla compatibilità dell’obbligo vaccinale con il disposto dell’art. 8 CEDU – oggetto di specifica censura nella vicenda che qui si commenta –, i giudici di Strasburgo hanno a più riprese stabilito la piena ammissibilità di misure sanitarie vincolanti in tal senso, a patto che le medesime siano fondate sull’esigenza di tutelare la salute non soltanto dei beneficiari cui dev’essere somministrato il vaccino, ma anche di quanti, per altre ragioni, non possono sottoporsi alla procedura, ferma restando l’implementazione di adeguati standard di precauzione idonei ad incidere nella minor misura possibile sulla situazione personale del paziente, in un’ottica di costante bilanciamento tra interessi contrapposti. Ne consegue che, in molti casi, la prevista obbligatorietà del vaccino, sebbene astrattamente invasiva, appare giustificata dalla necessità di contrastare una complessa situazione epidemiologica non altrimenti risolvibile.
Sulla scorta di quanto illustrato, nella controversia in esame la Corte EDU si è nuovamente trovata a dover valutare la legittimità di atti normativi interni i quali, perseguendo l’interesse collettivo alla salvaguardia della salute pubblica, risultano essere astrattamente idonei a compromettere la tutela del diritto alla vita privata e familiare.
Procedendo ad analizzare il merito della questione, il ricorso presentato dai genitori dei minori aveva ad oggetto l’emendata versione del c.d. ‘Czech Public Health Protection Act’ ed i relativi decreti di attuazione, emanati durante i primi anni duemila, che imponevano a tutti i cittadini di sottoporre i propri figli minori ad un programma di vaccinazione obbligatoria, altresì prevedendo sanzioni per quanti si rifiutassero di aderire alla somministrazione. Nello specifico, i ricorrenti, pur riconoscendo l’importanza cruciale dei vaccini in funzione della tutela della salute pubblica – rispondendo ad un generale interesse, nonché a canoni di solidarietà sociale e responsabilità condivisa – fondavano le proprie doglianze sul mancato bilanciamento tra l’esigenza di salvaguardare la salute pubblica, da un lato, e la tutela della vita privata dell’individuo, dall’altro, ravvisando una macroscopica violazione di tale ultimo diritto. Invero, ai sensi della legislazione ceca, gli istituti scolastici si riservavano la facoltà di accettare soltanto i bambini che avevano effettivamente ricevuto il vaccino, ovvero coloro che non erano abilitati a riceverlo previa esibizione di apposita documentazione medica comprovante un’incompatibilità con la somministrazione. Com’è evidente, dunque, la predetta regolamentazione non prevedeva un ‘automatismo’ procedurale, bensì imponeva una valutazione caso per caso, in considerazione dell’eventuale esclusione dal programma vaccinale di chi, a causa di patologie pregresse, sarebbe incorso in un serio rischio per la propria salute. A ciò si aggiunga altresì che, mediante una serie di importanti decisioni, la Corte costituzionale dello Stato convenuto si era pronunciata affermando la piena legittimità della legislazione in commento, cui si accompagnava anche la previsione di un congruo risarcimento del danno in ipotesi di effetti collaterali derivanti dalla vaccinazione.
Ciò premesso, in prima battuta la Corte EDU ha rilevato come sia il medesimo art. 8, § 2 CEDU a consentire di ritenere legittime determinate ‘ingerenze’ alla vita privata e familiare, a patto che le medesime siano previste da una fonte normativa e costituiscano una misura che, in una società democratica, sia effettivamente necessaria alla protezione della salute, nonché dei diritti fondamentali e dell’altrui libertà. Quanto alla legge che stabilisce tali procedure sanitarie, i giudici di Strasburgo hanno ribadito come quest’ultima debba essere adeguatamente accessibile e formulata con sufficiente precisione al fine di consentire, a coloro cui si applica, di regolare la propria condotta, nonché di prevedere le conseguenze che una determinata azione possa comportare; peraltro, respingendo la contestazione dei ricorrenti circa l’assoluta necessità di una normativa avente rango ‘ordinario’, la Corte EDU ha precisato come il termine ‘legge’ debba essere inteso in senso sostanziale: per l’effetto, la vaccinazione obbligatoria può essere prevista anche da fonti di legislazione secondaria.
Per ciò che invece concerne la potenziale interferenza della procedura di vaccinazione obbligatoria con le prerogative individuali, la Corte ha ravvisato l’assoluta preminenza dell’interesse alla salvaguardia della salute pubblica, evidenziando come tra gli Stati Parte della Convenzione, nonché in seno alle principali istituzioni internazionali, vi sia una certa uniformità di vedute sul punto, orientata a qualificare il vaccino come strumento d’elezione che, in termini di costi-benefici e a confronto con altri rimedi simili, appare in grado di contrastare efficacemente gravi situazioni epidemiologiche innescate da malattie che possono avere gravi effetti sulla salute individuale e che, in caso di focolai gravi, possono causare ingenti danni all’intera collettività.
Proseguendo con il proprio ragionamento, la Corte, pur rilevando la sussistenza di significative incongruenze tra i vari Stati circa l’opportunità di rendere o meno obbligatorie determinate procedure vaccinali per i minori, attribuisce al legislatore nazionale un ampio margine di apprezzamento. Sebbene, infatti, il sistema di vaccinazioni obbligatorie non costituisca, ad oggi, l’unico modello adottato dagli Stati europei, la Corte chiarisce come, in materia di politica sanitaria, le autorità interne siano abilitate a decidere previa adeguata valutazione delle priorità, delle risorse disponibili e delle necessità sociali, nonché del c.d. ‘best interest of child’, principio cardine che dev’essere posto a fondamento di qualsiasi provvedimento adottato in favore di un minore. Peraltro, pur essendo perfettamente consapevoli del fatto che in alcuni casi specifici la vaccinazione può rivelarsi dannosa per l’individuo, provocando una perdurante lesione alla sua salute, gli organi della Convenzione hanno dapprima evidenziato come, nel caso di specie, il sistema sanitario nazionale dello Stato convenuto aveva assicurato un certo margine di manovra per ciò che concerne la scelta del vaccino, prevedendo una tipologia ‘standard’ gratuita, alla quale si affiancavano valide alternative il cui costo era tuttavia posto a carico dei genitori dei vaccinandi. Ancora, la Corte ha ribadito come le autorità nazionali debbano adottare tutte le necessarie precauzioni già dal momento antecedente la vaccinazione, monitorando costantemente la sicurezza dei vaccini in uso ed individuando prontamente la sussistenza di possibili controindicazioni.
Infine, in quello che sarà con ogni probabilità ricordato quale dictum fondamentale della sentenza in commento – soprattutto in funzione della futura regolamentazione delle procedure di vaccinazione obbligatoria inerenti al Covid-19 –, i giudici di Strasburgo hanno ribadito come, in linea generale e non soltanto limitatamente alla campagna vaccinale promossa dalle autorità ceche, si possa parlare di un adeguato livello di proporzionalità non soltanto ogniqualvolta la comunità scientifica sia concorde nel ritenere tali vaccini assolutamente sicuri ed efficaci per contrastare una conclamata situazione epidemiologica, ma anche e soprattutto quando la procedura obbligatoria sia concretamente idonea a proteggere la salute di tutti i membri della società, avendo particolare riguardo alla situazione dei soggetti particolarmente vulnerabili rispetto a specifiche malattie. Invero, proprio a beneficio di questi ultimi, si richiede al resto della collettività di assumere un rischio minimo, sotto forma di somministrazione obbligatoria del vaccino, nell’ottica del raggiungimento della c.d. immunità di gregge, condizione necessaria a salvaguardare il diritto alla salute di quanti, al contrario, non possono ricevere le cure necessarie.
Traendo le fila del ragionamento esplicitato dai giudici di Strasburgo e volendolo ‘calare’ nel contesto della corrente emergenza pandemica, la decisione in commento è destinata, senza alcun dubbio a divenire un precedente di assoluta rilevanza, e ciò alla luce di un’importante motivazione: invero, richiamando tutta una serie di pronunce costituzionali sul punto, è stato enucleato il principio secondo cui le procedure di vaccinazione obbligatoria possono considerarsi legittime e dunque ‘giustificate’ nella misura in cui esse siano necessarie a salvaguardare la salute di ciascun individuo, nonché quella collettiva.
Quanto, invece, alla necessità di mantenere un adeguato livello di proporzionalità tra le misure sanitarie e la tutela della vita privata, la gestione dell’attuale situazione epidemiologica esige il raggiungimento di un delicato equilibrio tra la dimostrata efficacia generale del vaccino nel contrastare il coronavirus (che potrebbe deporre a favore dell’obbligatorietà della sua somministrazione ‘in massa’), da un lato, e il potenziale rischio, pur sporadico, cui sono esposti gli individui che scelgono di sottoporsi al vaccino (circostanza, quest’ultima, suscettibile di profilare più di un dubbio circa l’obbligatorietà della procedura, nonché di esigere un livello particolarmente elevato di cautela nella programmazione della campagna vaccinale, supervisionando le condizioni del soggetto tanto nella fase preventiva alla somministrazione, quanto durante il decorso di eventuali effetti collaterali successivi).
* Corte europea dei diritti dell’uomo, Vavřička and Others v. Czech Republic [GC], ricorsi nn. 47621/13, 3867/14, 73094/14, 19298/15, 19306/15, 43883/15, sentenza dell’8 aprile 2020, consultabile al seguente link:http://hudoc.echr.coe.int/eng?i=001-209039.