La Corte Costituzionale dichiara illegittima l’applicazione retroattiva della legge “spazzacorrotti”

Una importante ventata di garantismo e di rispetto del principio di legalità della pena in un periodo dove sembrava farla da padrone il giustizialismo- gridato da alcuni media e inseguito da un’ampia fetta della politica- e un ritorno sulla scena di una parte della Magistratura ancora non rassegnata alla riforma del processo penale del 1988.

La Corte costituzionale ha esaminato  nella camera di consiglio del 12/2/2020 le censure sollevate da numerosi giudici sulla retroattività della legge 9 gennaio 2019 n. 3 (cosiddetta Spazzacorrotti), che ha esteso ai reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni previste dall’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario rispetto alla concessione dei benefici e delle misure alternative alla detenzione. In particolare, è stata denunciata la mancanza di una disciplina transitoria che impedisca l’applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019.

In attesa del deposito della sentenza, previsto nelle prossime settimane, l’Ufficio stampa fa sapere quanto segue.

La Corte costituzionale ha preso atto che, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente, e che questo principio è stato sinora seguito dalla giurisprudenza anche con riferimento alla legge n.3 del 2019.

La Corte ha dichiarato che questa interpretazione è costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna.

Secondo la Corte, infatti, l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione.

Un principio che sembrerebbe assolutamente scontato e banale in uno Stato di diritto ma, oggi, in Italia, fa persino scalpore come se si trattasse di una sorta di deriva di impunità di Stato.

 

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